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Anatomia della nostra disumanità


C’è un momento in cui l’uomo smette di essere uomo. Non quando uccide. Ma quando non sente più niente.

Quando il grido di un animale diventa rumore di fondo, e il sangue, purché non sporchi le nostre mani, è solo un dettaglio logistico. Abbiamo delegato la crudeltà all’industria, come si affida un peccato in appalto. E poi ci definiamo “civili”.

Il supermercato è il nostro confessionale laico: entriamo col carrello, usciamo assolti.
Non abbiamo visto, quindi non è successo.
Non abbiamo udito, quindi non è dolore.
Non abbiamo pensato, quindi non è colpa.

Intanto, milioni di creature respirano per noi l’odore della paura.
Le chiamiamo “risorse alimentari”, “test di laboratorio”, “intrattenimento educativo”.
Le umiliamo in nome di un gusto, di un tessuto, di una tradizione. Abbiamo inventato persino un lessico per sterilizzare l’orrore: allevamento intensivo, macellazione controllata, benessere animale.

Il linguaggio come anestetico morale.

Siamo diventati una specie capace di piangere per un cane abbandonato, ma di ignorare la vacca che piange per il suo vitello portato via.
Abbiamo un’empatia selettiva: domestica, fotogenica, addomesticata.
Ci commuovono le storie “a quattro zampe”, ma non quelle a quattro pareti, dove la vita finisce nel silenzio sterile di un mattatoio.

L’intelligenza senza coscienza è solo un modo più raffinato di essere crudeli.
E noi, che ci vantiamo di essere “la specie pensante”, non siamo altro che una razza di predatori sentimentalmente evoluti, capaci di scrivere poesie sulla libertà mentre indossiamo la pelle di chi non ne ha mai avuta.

La nostra umanità non muore in un atto, ma in un’abitudine.
Muore ogni volta che accettiamo la sofferenza come parte del menù.
Ogni volta che pensiamo: “è solo un animale”.
Perché in quel momento, lo siamo anche noi.

Industria della carne. O forse solo industria dell’oblio.

Le immagini utilizzate provengono da archivi fotografici che documentano la realtà degli allevamenti intensivi. Un ringraziamento particolare a chi, con coraggio e rispetto, sceglie di mostrare ciò che molti preferiscono ignorare: We Animal Media, Essere Animali, Animal Equality.

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