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Sfruttamento all’italiana: la dignità costa più del mio stipendio


Otto ore filate davanti a una porta, un tornello, un cancello. Otto ore in cui il mio stomaco produce più decibel di un concerto metal, ma nessuno se ne accorge. Non ho pausa. Mai.

La paga? Miseramente povera. Talmente povera che se fosse una persona chiederebbe l’elemosina accanto a me. I buoni pasto? Leggenda metropolitana. Pare che esistano, ma solo per i “colleghi di serie A”: le guardie armate. Noi, i fiduciari, ci accontentiamo di guardare con desiderio la macchinetta del caffè.

Eppure il contratto parla chiaro: pausa retribuita dopo 6 ore.
La legge parla chiaro: dignità sul lavoro.
Ma tra quello che c’è scritto e quello che ci fanno vivere… c’è un abisso grande quanto il mio buco allo stomaco.

Perché il punto è semplice: se la dignità vale meno di un tramezzino, allora stiamo sbagliando tutto.

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Vorrei che qualcuno mi spiegasse perché nel 2025 il diritto di andare in bagno o di mangiare un panino debba ancora sembrare un privilegio.  
Forse non siamo lavoratori, ma cavie da laboratorio, testate per vedere quanto resiste un essere umano senza acqua, cibo e dignità.  Il risultato? Resiste. Ma si incazza.

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