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Esperimento Y: conversazioni anfibie al tramonto


< ElyMode On >  
Ieri notte ho accarezzato delfini.  
Non nella vita reale – che lì mi agiterei e penserei ai documenti da firmare per l’acquario – ma in un sogno. Ero in mezzo a un mare calmissimo, di quelli che sembrano una coperta di vetro liquido, e un tramonto assurdo, quasi irragionevole, mi stava sciogliendo il cervello in toni arancio e rosa. Arrivano loro: due delfini e una creatura enorme che non ho capito se fosse una balena o un pensiero gigante che aveva deciso di farsi il bagno.
Mi hanno guardata.
Io li ho accarezzati.
E ho capito che, almeno nel mio sogno, l’inconscio ha la pelle liscia e sa sorridere.
Poi mi sono svegliata.
Nessun manuale di psicoanalisi, nessuna formula scientifica: solo la certezza che, se ti lasci galleggiare ogni tanto, il cervello smette di urlarti addosso e si mette a fare le bolle sott’acqua.
Morale della favola?
Se vedete dei delfini, anche solo in sogno, ascoltateli.
Non parlano, ma hanno più cose da dire di certi esseri umani.
< ElyMode Off >

—–

I sogni a volte ci mostrano una verità semplice: il cervello non distingue molto tra reale e immaginario.

Durante la fase REM si accendono aree simili a quelle che useremmo davvero per accarezzare un delfino, mentre la parte razionale si fa da parte.

In pratica, toccare un delfino in sogno è quasi come farlo davvero: le emozioni restano autentiche, anche senza bagnarsi.

Dal punto di vista filosofico, questo ci ricorda Platone, che vedeva il mondo sensibile come un’ombra di qualcosa di più vero e profondo. Forse il sogno è un’altra ombra, ma un’ombra che ci parla con voce reale.

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